Mattia Puleo è una figura che ha fatto costantemente dentro e fuori da questo progetto fin dalla sua nascita. Nel periodo in cui tutto è iniziato era tra i conduttori de “L’Ultima Fila”, la trasmissione sul cinema di RadioOhm. Fu lui che ci chiamò dal set di Centovetrine, dove lavorava. per dirci “Ragazzi, ho conosciuto Monica Ward: vi può interessare intervistarla?”
Non è che la sua fosse una domanda retorica, ma per noi la risposta aveva il medesimo, ovvio sapore di una di quelle cose che chiedi senza bisogno di riceverne la risposta. Così abbiamo saltato la fase del sì/no per passare direttamente a qualcosa che deve essere uscito come un confuso “dove, come, quando?”
Sbrogliata la matassa degli incastri impegno/temporali nostri e di Monica, organizziamo una data e con una discreta carica di emozione, montiamo sulla Maledetto Mobile® (per i nuovi che potrebbero non afferrare, si tratta dell’automobile del De Simone, ovviamente) e ci lanciamo in una calata in quel di San Giusto Canavese, dove si trovano i set per la soap italiana.
Ma procediamo con ordine.
Troviamo il posto, troviamo Mattia, troviamo Monica. Dopo un primo veloce scambio, scopriamo che tramite l’intercessione del Puleo, la produzione ci ha prestato una stanza/ufficio per realizzare la nostra intervista. Sembra di entrare una di quelle sale riunioni tipiche di certi alberghi che campano di congressi.
Ci mettiamo subito ad allestire la videocamera, provare i suoni e a sistemare tutta una serie di faccende tecniche. Minuti che cerchiamo di riempire partendo con i classici iniziali convenevoli e che diventano il momento in cui facciamo davvero la nostra conoscenza di Monica. Interviste, in varia forma e vario genere, ne avevamo già fatte diverse, ma questa era la prima volta che ci capitava un simile contesto e qualcuno che fosse legato al mondo televisivo. E con qualcuna la cui voce ci aveva accompagnato in un sacco di avventure da spettatori.
Tradotto significa che eravamo piuttosto tesi, e, inutile negarlo, ci aspettavamo una certa formalità. Ci tenevamo pronti anche per l’eventuale emergere di qualche forma di snobismo. In fondo Boris ce lo eravamo già visto tutto, all’epoca. Poco da dire: ci sbagliamo su tutta la linea. Mentre noi cercavamo di mettere la nostra “ospite” a suo agio prima di iniziare l’intervista, ci siamo in realtà trovati messi a nostro agio da lei.
Nel giro di poco abbiamo riso, scherzato e ci siamo lanciati in folli amarcord, scivolando dentro l’intervista senza soluzione di continuità. È stata una di quelle situazioni in cui, ad un certo punto, qualcuno di noi si deve essere ricordato che forse l’intervista era il caso di chiuderla, che mica potevamo fare notte così! O forse è più probabile che sia stata direttamente la tecnologia a farcelo notare, con un insistente puntino rosso lampeggiante che ci avvisava che anche la seconda (o era la terza?) batteria della telecamera stava per dare forfait, spremuta di ogni energia.
Potete anche decidere di non fidarvi delle nostre parole e immaginare che si tratti di una sciorinata di piaggeria della più bassa qualità. Ma l’intervista che abbiamo realizzato, che nei nostri piani doveva essere una cosa di una mezzoretta e invece è andata avanti più di un’ora, ci sembra una prova piuttosto eloquente.
E poi è arrivato il momento dei convenevoli parte 2, quelli che incanalano verso i saluti. Mentre si smonta, si scollegano i cavi, si controlla che tutto abbia funzionato a dovere, Monica ci butta lì un’altra proposta.
Che lanciata lì, così, in quel momento, suona un po’ come quella collezione di frasi che si dicono, e in cui lì per lì magari credi pure: “ci sentiamo… oh rimaniamo in contatto eh!… La prossima volta che passo ti chiamo per una birra…”. Ci dice: “Ragazzi, ma perché una volta non venite giù a Roma da me, così vi presento un po’ di colleghi e intervistate anche loro?”
Ovviamente annuiamo, carezzando l’idea con un certo entusiasmo, ma mentre la Maledetto Mobile® (che ormai conoscete), ci riporta verso il capoluogo sabaudo, fantastichiamo, sì, di interviste, viaggi e possibilità, ma con quella vaga sensazione riassumibile con “see, magari, figurati!”
Solo che poi Monica la proposta la ribadisce quando la contattiamo di nuovo, per farle avere la versione finale dell’intervista pronta per la pubblicazione. E noi in quel momento abbiamo detto: “Sì”. Ma nella nostra testa è come se si fossero manifestate due versioni alternative e ambivalenti di noi stessi. Da un lato sbarriamo occhi e bocche come a dire “Ma è seria?”, nella posa delle tre famose scimmiette non vedo, non parlo, non sento, ma come se le avesse reinterpretate Edward Munch. Dall’altro siamo sempre noi, sempre scimmie, ma quelle della versione disneyana del Libro della Giungla, lanciati in uno sfrenato ballo swing che traduceva in passi scomposti la vera risposta che avremmo voluto dare, quella che somigliava a quella dato a suo tempo a Mattia: “dove, come, quando?”
Sì, ci sembrava comunque una roba irreale. Almeno fino a quando, qualche settimana dopo, ci siamo svegliati tutti e tre molto prima dell’alba, in una stanza della Casa Maledetta® (non è che dobbiamo spiegare la casa di chi sia, no?). È buio, siamo stonati di sonno e adrenalina per la partenza. Saliamo sulla Maledetto Mobile® (e daje) e partiamo alla volta di Roma.
E sì.
E già.
Sta succedendo davvero.
In copertina: la banda di Sono Cose Serie con Monica Ward: con lei tutto ha avuto inizio