I giga hanno spodestato i kilo ormai da diverso tempo, e il mondo dei dati non solo è passato dal magnetico al solido, ma è diventato quell’ambiente in cui non basta più dire “USB”: se non ci abbini una versione “punto zero” accanto, potresti trovarti davanti a imbarazzanti attese in cui ti tocca trovare argomenti di conversazione mentre i file viaggiano da un pc alla tua chiavetta dall’estetica un po’ troppo steampunk.
Se l’avvento della televisione dagli anni ‘60 in poi ha moltiplicato le esigenze del doppiaggio con un quantitativo in crescita costante di nuovi film, nuove serie, nuovi cartoni e nuovi documentari, le decadi successive non hanno certo portato tregua. Da una manciata di canali, le televisioni hanno iniziato a figliare ad una velocità incredibile, sviluppando uno sciame di piccole reti private che aveva tanta fame di materiali per i propri palinsesti, ma magari non tanto budget. E allora via con repliche, televendite, ma soprattutto via ad una pesca a strascico nell’acquisto di diritti di materiali esteri già pronti e a buon mercato. Magari sarà stato un approccio grossolano, ma in fondo non possiamo che ringraziare queste circostanze che ci hanno permesso di gustare e scoprire chicche che difficilmente sarebbero uscite dal paese d’origine e che, volenti o nolenti, hanno formato il nostro immaginario. O almeno quello dei VDM© (i cari Vecchi di Mer…a).
Poi è arrivato il tempo delle pay-tv. Tolto il terreno di scontro principale, il calcio (e anche dello sport in generale, ma quello solo se proprio proprio non avevi abbastanza esclusive calcistiche), i nuovi canali a pagamento si sono combattuti a colpi di diritti esclusivi di serie, film (soprattutto), cartoni e documentari. E vogliamo dimenticare forse l’avvento dei reality show?
Quantità, quantità, quantità.

Che certo, a metterla così in fondo significa per il mondo del doppiaggio una mole incredibile di lavoro, quindi mica tanto male. Ma l’evoluzione è un bambino che corre senza guardare in faccia a nessuno.
Gli anni 2000 non ci hanno portato le macchine volanti, ahinoi, ma i salti tecnologici non sono certo mancati, mentre la famigerata “globalizzazione” estendeva i suoi rami in ogni spazio possibile. Non solo piazzando un McDonald, un Burger King, uno Zara o un Flying Tiger nelle vie del centro di ogni città medio/grossa del mondo, ma anche stringendo sempre di più i tempi tra produzione originale e messa a disposizione in italiano dei prodotti di entertainment. È un fenomeno, questo, che ha raggiunto il suo picco con la nascita del nuovo, ennesimo contenitore per distribuire e produrre nuovo materiale, ovvero ancora film, serie, cartoni animati e documentari: i canali streaming.
E a questo punto che è successo per i doppiatori? No, non le polemiche per i sottotitoli. Sì, certo, anche quelle. Ma soprattutto è successo che quel “quantità, quantità, quantità” ha subito una mutazione. È diventato: “velocità, velocità, velocità!”.
Tutto deve arrivare a ridosso, o pressoché in contemporanea all’uscita originale. Le nuove serie devono essere disponibili lo stesso giorno dell’uscita americana, i film persino in anteprima anticipata (così da tentare strane teorie antipirateria). Il risultato è un cambio di paradigmi e di ritmi.
Certo, in molti casi l’esperienza del mestiere per i veterani può cercare di bilanciare la corsa… ma come è ben noto, presto e bene difficilmente vanno d’accordo e per le nuove generazioni di doppiatori il gioco può farsi decisamente straniante…
Di questo e di molto altro, parlano gli artisti nella quinta puntata del nostro documentario, “Doppiattori”
*In copertina: il nostro Paolo in compagnia di uno dei protagonisti del nostro documentario e del doppiaggio oggi, Luca Ward *