Forse non tutti ricordano la guerra dei Quoti. Quelli che lo fanno probabilmente sono gli stessi che si saranno domandati come mai Iena avesse un enorme tatuaggio a forma di serpente. O perché dovrebbe stupire così tanto che uno che si chiama Andromeda finisca sull’isola di Andromeda. C’è chi ancora si sta chiedendo quale dannata porta sia quella da non aprire e quelli che non hanno capito bene come hanno fatto a sbagliare sala quando sono andati a vedere quella promettente commedia… “Se mi lasci ti cancello”.
Lo chiamano “adattamento”. E certo, facile parlare delle volte in cui è andata male, quelle saltano agli occhi. Ma dall’inizio di questa faccenda, quella del doppiaggio e della localizzazione italiana di film stranieri, quante pellicole, serie, programmi, documentari, cartoni animati sono stati adattati in italiano? Parliamo di centinaia di migliaia di prodotti. Se ne ricordiamo una manciata, e gli esempi che tornano insieme sono spesso sempre i medesimi, significa che le volte in cui le cose funzionano sono dannatamente tante. Mai provato Frankenstein Junior in originale?
L’adattamento non è una semplice traduzione, ma qualcosa che deve gestire una serie diversa di esigenze. Non deve solo restituire un significato, ma anche tutta una serie di elementi a corollario (contesto, colore, eventuali diversità e specificità del parlato, eventuali doppi sensi o giochi di parole), e farlo stando dentro gli spazi a disposizione. Che per esempio, nel caso del doppiaggio, significa nella misura di tempo in cui l’attore in originale muove le labbra per dire quella cosa lì, in modo che quando la dice in italiano, sembra la dica davvero lui, perché magari non sta continuando a parlare quando ha già chiuso la bocca. O perché magari non dice una “U” mentre in originale ha la bocca spalancata per una “A”.
E poi ancora entrano in gioco tutta una serie di fattori discutibili o che magari non sempre ci sono graditi ma sono parte del meccanismo, come scelte culturali o persino religiose (come quando un prodotto, perché distribuito da una rete televisiva con determinate sue norme etiche, decide che certe cose non sia il caso di dirle) oppure semplici scelte di marketing che seguono logiche che possono esulare parecchio da scelte artistiche e creative.
Prendete qualche classico della vecchia hollywood o i primissimi film animati Disney. Scavalchiamo questioni di qualità del doppiaggio (che possiamo dare per scontate). Ascoltateli. È un viaggio nel tempo linguistico: intonazioni, lessico, persino il modo in cui le parole o i nomi inglesi vengono pronunciati nella versione italiana ci racconta in qualche modo anche il nostro Paese, la nostra storia, oltre a quello che stiamo guardando, così come la trama e le immagini probabilmente ci stanno dicendo cose del modo di vivere negli Stati Uniti di quegli anni, al di là della reale ambientazione storica del film.
Di questo e di molto altro, parlano gli artisti nella terza puntata del nostro documentario, “Doppiattori”